Viaggiare in modo autentico: 5 tecniche da usare subito

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L’anno scorso ho sostenuto un experto unversitario (studio post-laurea) in antropologia presso l’università spagnola. Nonostante questo, non sono un antropologo – in futuro, chissà – ma cerco di viaggiare in modo autentico, e l’antropologia l’ho vissuta sul campo.. Il mio approccio ai viaggi è nato dall’ascolto e dall’osservazione: anni passati in comunità indigene, come quella Maya dove ho vissuto a lungo, mi hanno insegnato più di molti manuali universitari. Mi definisco un etnografo per esperienza, uno che ha imparato a stare nei luoghi con delicatezza, curiosità e rispetto.

Viaggiare da antropologo — o meglio, con un’attitudine antropologica — non è una cosa riservata agli accademici. È uno sguardo, un modo di porsi. E, soprattutto, si può imparare. In questo articolo voglio condividere 5 tecniche pratiche che chiunque può applicare per trasformare un viaggio qualsiasi in un’esperienza autentica, profonda, umana.


1. Non sei il protagonista

Una delle prime cose che si impara sul campo è che osservare non è invadere. Quando arrivi in un nuovo luogo, soprattutto se si tratta di una piccola comunità o di un contesto culturale molto diverso dal tuo, non precipitarti a fare domande, foto, video o selfie con chiunque. Fermati. Guarda. Ascolta. Siediti in un angolo di un mercato, entra in un caffè locale, percorri lentamente le strade secondarie.

L’obiettivo è entrare in risonanza con il ritmo del luogo, senza alterarlo con la tua presenza. È come sintonizzarsi su una frequenza. Spesso, quando le persone del posto ti vedono osservare con rispetto e senza fretta, sono loro ad avvicinarsi.

Ovviamente questo non è valido se abbiamo un “secondo fine”. La ricerca coperta è una tecnica che viene utilizzata solo in caso di effettivo pericolo per il ricercatore (come nel caso delle sette). Far finta di nulla, per poi far apparire magicamente una ricerca, un reportage o un articolo è estremamente scorretto.


2. Impara almeno cinque parole nella lingua locale

Viaggiare in modo autentico significa anche partecipare, non solo osservare. Può sembrare banale, ma non lo è affatto. Sapere dire “buongiorno”, “grazie”, “per favore”, “scusa” e “quanto costa?” nella lingua del posto può cambiare radicalmente la percezione che gli altri hanno di te. Anche se il tuo accento sarà imperfetto, il gesto sarà visto come un segno di rispetto.

In alcune comunità indigene del Messico, ho visto persone sciogliersi in sorrisi solo per un “La utz’ aawach?” (Come stai? In Maya Tz’utujil). Piccoli gesti che aprono grandi porte.


3. Partecipa invece di consumare

In molti luoghi, il viaggiatore è visto come un consumatore: di cibo, di immagini, di esperienze. Se vuoi davvero connetterti, prova invece a partecipare. Partecipa a una festa locale (non solo come spettatore), a una giornata di lavoro nei campi, a una cerimonia se ti viene offerta la possibilità. Non per curiosità esotica, ma per condivisione.

Ricordo quando mi è stato insegnato a preparare il mole durante una celebrazione. Non capivo tutto, ma le mani ai fornelli, gli sguardi complici e le risate hanno fatto il resto.


4. Sospendi il giudizio (e anche il bisogno di capire tutto subito)

L’antropologia ci insegna che ogni comportamento umano ha un contesto, un senso, una storia. Ciò che può sembrarti “strano” o “sbagliato” ha probabilmente una logica profondamente radicata nella cultura che stai visitando. Non cercare di “decifrare” tutto immediatamente.

Quando partecipai al mio primo temazcal (la sauna cerimoniale), non capii molto delle invocazioni, dei canti, dei gesti. Ma lasciai che il corpo, il respiro, la sensazione mi guidassero. Solo più tardi, con il tempo e la fiducia, ho compreso anche il significato simbolico.


5. Chiedi “a chi posso chiedere?” (una chiave per viaggiare in modo autentico)

Una tecnica semplice ma potentissima. Quando vuoi informazioni, non partire in quarta con domande dirette a caso. Chiedi invece: “A chi potrei chiedere di questa cosa?”. Questo approccio fa due cose: dimostra rispetto per la struttura sociale locale (spesso ci sono persone che hanno il compito di parlare per la comunità), e ti permette di trovare interlocutori affidabili.

Nei miei viaggi ho scoperto così guide locali incredibili, guaritori, anziani portatori di memoria, persone che non avrei mai incontrato se non avessi chiesto… con pazienza.


Non serve una laurea per viaggiare con consapevolezza

Viaggiare come un antropologo non significa compilare tabelle o scrivere saggi. Significa viaggiare con presenza, rispetto e curiosità reale. È un modo di stare al mondo, non una tecnica da applicare una tantum. E sì, chiunque può farlo — basta voler rallentare e mettersi in ascolto.

Io continuo a viaggiare in modo autentico, ed è questo lo spirito con cui accompagno i miei gruppi.

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